La prima volta che la toccai fu per caso, in ascensore. Mi trovavo come sempre in giro per lavoro e le mie dita avevano cercato di premere il pulsante del 5° piano prima di chiunque altro. Di corsa com’ero non l’avevo notata entrando, ma sentii una scossa quando i miei polpastrelli si posarono sulle sue unghie blu. Anche lei andava al 5° piano e le sue labbra si erano increspate in un lieve gemito. Nell’istante di quella vibrazione che ci aveva unito.
“Scusi” dissi in automatico.
“Turista?”
Ancora una volta il mio accento mi aveva tradito.
“No, lavoro…”
Era bellissima, stretta in quell’abito di fiori che rivelava tutta la generosità del suo corpo. Le labbra amaranto e due occhi verdi grandi. In un viso da bambola scura. Sembrava uscita dal cuore più vero di quell’hotel di Siviglia, un palazzo arabo da mille e una notte.
Io rimasi impalato, goffo nel mio abito e soffocato dalla mia cravatta.
“Tieni” disse, mentre con la mano mi porgeva un paio di nacchere “Così il lavoro sarà più divertente”.
Io sorrisi, imbarazzato, mentre le porte dell’ascensore si aprivano. Era la fine dei giochi e l’inizio dei rimpianti. Lei scomparve, risucchiata dal lungo corridoio e io mi buttai sul letto della mia camera. Sonno profondo.
La sera dopo, incredibilmente, la rincontrai. Sempre in ascensore. Ero preparato però. Con fare sicuro la invitai a bere in camera mia. Niente scossa questa volta, ma un vero e proprio fulmine quando lei, al secondo sorso di rhum del frigobar, si sedette sulle mie gambe. Provocatrice. Le mie labbra cominciarono a rincorre il suo collo e a premere forte contro le sue. Le nostre lingue si rincorrevano in una danza. Mentre le nostre mani scoprivano i nostri corpi e i vestiti rimanevano a guardarci, uno sopra l’altro, come noi. Mi dominava. Si ergeva fiera sopra di me e ricadeva a cascata come burro fuso, avvolgendomi. I suoi capelli che arricciavano l’aria. Al soffitto gli occhi. Io davo ritmo ai suoi fianchi e le miei mani stringevano il suo petto gonfio e caldo. Lei incideva il suo nome sul mio corpo. Con le sue unghie blu. Sospirava forte e io seguivo la sua striscia del piacere che da sotto l’ombelico indicava la mia pancia. Sospirava…sospirava di più, sospirava…si sfregava…gemeva.. mi fissava.. urlava e Puff!
Driiiin. Maledetta sveglia, maledetto lavoro, solo le nacchere abbandonate sul comodino sembravano reali. Finiva un sogno e iniziava di nuovo l’incubo del rimpianto.
Dopo colazione mi fermai in reception. Ero deciso a chiedere informazioni su quella ragazza di cui ero ormai innamorato. Spiegai come era fatta e che anche lei alloggiava al quinto piano. Improvvisai che dovevo rivederla per darle le nacchere, che le erano cadute in corridoio.
L’impiegato della reception sorrise complice. Con fare cortese disse “Non si preoccupi signore, la può rivedere quando vuole, basta chiamare il numero inciso sul retro delle nacchere. Sono il suo biglietto da visita. Lei lavora qui di tanto in tanto, oppure alla casa di piacere per stranieri. All’angolo.”
Che palle! Mi ero innamorato di una puttana…
Lorenzo
Scheda oggetto
Nome: Nacchere
Età: 5 anni
Taglia: S
Residenza: legate a bottiglia di sangria
Segni particolari: sono solo nacchere e distintivo!