Rosario detto Paco…
O era il contrario?
Sì, è più plausibile che fosse il contrario…
Paco detto Rosario vendeva rose nella città della moda.
Era arrivato dal Sudamerica all’età di 9 anni, insieme a un cugino più grande di lui. La madre di Paco aveva lavorato per un breve periodo nelle cucine di una ricca proprietaria terriera. Una sera, per sbaglio, si era allontanata dai fuochi quel tanto che bastava per intravedere delle immagini in scatola. Le figure si muovevano alla velocità di una festa ed emettevano suoni che sembravano una melodia. Uno le arrivò nitido alle orecchie: “Italia”.
La madre di Paco, in quel preciso istante, fottuta come tanti dalla televisione, decise che suo figlio meritava una vita migliore. La stessa che aveva appena intuito dietro quello schermo. Nel giro di un paio settimane, Paco si trovò su un camioncino, affidato a un ragazzo che in realtà conosceva appena. Qualche giorno più tardi salì su una grande e fatiscente nave.
Purtroppo però, quando arrivarono in Italia, dopo un interminabile viaggio e molte peripezie, nessuno gli propose di essere parte di una grande festa.
Gli offrirono presto, tuttavia, due strade per partecipare – diciamo così – al backstage dei grandi eventi. Perché la bella vita esisteva per davvero, sua madre non se l’era mica sognata. Solo che nessuno aveva fatto in tempo ad avvertirla che c’era una selezione naturale all’ingresso e non tutti erano invitati.
La prima strada era quella del farmacista, almeno attraverso la semplificazione concettuale della mente di un bambino. Consisteva in un compito molto facile, portare delle bustine trasparenti con pillole e polveri a certe persone o nasconderle nei bagni di alcuni locali. Non era un lavoro pesante ed era molto ben remunerato.
La seconda era quella del fioraio. Ti consegnavano un mazzo di rose e tu dovevi farti un culo così per piazzarle. Guadagnavi poco e spesso ti prendevi insulti e spintoni da tutte le parti. Sia dai capi, che dai clienti.
Alle selezioni obbligate indette una volta al mese, quasi tutti sceglievano la medicina sintetica.
Ma Paco da sempre amava i fiori, i loro profumi e i colori. Così pensò di poter sopportare gli aspetti più aspri del mestiere e, pur sapendo che si sarebbe dovuto rimboccare le maniche, scelse senza troppi indugi la via più faticosa.
Suo cugino, invece, optò per il camice bianco. Un mese dopo guidava già una bella automobile e indossava completi eleganti. Iniziò ad affrontare trasferte sempre più lunghe, durante le quali lavorava per espandere il business. Paco l’avrebbe rivisto soltanto un paio d’anni dopo, vicino a un cassonetto con un proiettile tra le tempie: se le dosi sono sbagliate, il primo con cui ti incazzi è il farmacista.
Nel frattempo Rosario aveva imparato a conoscere la città e a destreggiarsi tra coppiette e locali. Dopo le prime settimane di botte e di magre, aveva dovuto rompere indugi e timidezze e inventarsi la mossa upside-down, anche detta “faccia da culo”. Era scoppiato in lacrime davanti a famiglie a cena, si era inventato sei figli da sfamare, aveva imparato set di complimenti per intenerire le ragazze e così via. Superata la fase di sopravvivenza e imparati alcuni trucchi, si era reso conto che il mestiere in fondo gli piaceva: il contatto con le persone, lo stare all’aperto e persino il camminare tanto. Inoltre si era scoperto un abile venditore, con una profonda conoscenza della merce. Un’arma in più da non sottovalutare: sapeva quali rose scegliere e come esaltarne le peculiarità. Aveva una marcia in più rispetto alla media degli ambulanti. Presto quelli che erano diventati amici tra i suoi colleghi se ne accorsero e iniziarono ad affibbiargli il nomignolo di Rosario.
Da vero bomber del quadrilatero della moda, iniziò a studiare gli avversari e affinare la tecnica, capire che zone battere, a che ora, quali situazioni evitare, in quali momenti tergiversare e in quali, al contrario, sferrare gli attacchi decisivi. Comprese una regola fondamentale di quel mestiere e forse della vita: insistere paga, rompere i coglioni no.
Nel pieno della sua maturità, a quindici anni, si era già fatto un nome, vendendo rose a raffica. In giro si parlava del “tocco di Rosario” come di qualcosa di prezioso e mistico.
Le sue imprese erano ancora più sorprendenti considerando l’ambiente di lavoro ostile: una città difficile, con gente sempre di corsa, frequentemente incazzata, spesso arrogante e a volte razzista. Uno dei pochi casi in cui giocare in casa non era un sollievo, ma una complicazione. In più va detto, spesso, il campo era impraticabile, soprattutto d’inverno. Il cielo aveva un colorito perennemente grigiastro e la maggior parte dei fenomeni atmosferici più stronzi erano sintomi abituali: la nebbia, il freddo, la neve e soprattutto la pioggia, il più grande degli ostacoli. Quando pioveva, infatti, nessuno comprava fiori e un po’ per prassi, un po’ per etica professionale i venditori di rose dovevano lasciare il posto a quelli di ombrelli, nascosti dietro agli angoli come avvoltoi e capaci di apparire come magie, al cadere della prima goccia.
Nonostante tutto ciò, Rosario riuscì dove nessuno aveva potuto prima: vincere la ROSA D’ARGENTO in soli due anni.
La ROSA D’ARGENTO era il premio più importante del settore e veniva consegnato a chi riusciva a vendere 100000 rose.
Di solito era praticamente un premio alla carriera. Invece Rosario, stracciando ogni record, riuscì nell’impresa in soli 700 giorni. Con la media di 143 rose al giorno, tutti i giorni. Ce la fece, assestando colpi di mazzi intere e mettendo in piedi appuntamenti tematici all’essenza di rosa. “Mettete dei fiori nei vostri cannoni” fu il più leggendario: un evento realizzato in occasione del derby cittadino. Grazie a dei contatti coltivati negli anni nel mondo dei parcheggi dello stadio, riuscì a coinvolgere entrambe le curve. Vendette migliaia di rose quel giorno, in particolar modo ai gruppi organizzati che realizzarono le prime coreografie profumate della storia e poi, al fischio di inizio, si fumarono i petali e tutto lo stelo, spine comprese.
Per Rosario fu un’emozione grandissima, che raggiunse l’apice quando tutto lo stadio, in segno di riconoscenza per l’idea gli dedicò una standing ovation e il coro: “Paco paco pacoooo l’hanno visto con le rose, con le rose allo stadioooooo”.
A oggi il record di Rorsario non è stato ancora superato, né eguagliato.
Se gli chiedete come si spiega che nessuno, anche quest’anno, ce l’abbia fatta, con molta umiltà , come i grandi campioni, vi dirà: “Probabilmente è solo colpa della pioggia che quest’anno ha veramente rotto i coglioni!”.
Andrea
Nome: Rosa di metallo
Età: 35 anni
Taglia: M
Residenza: mobile appendiabiti
Segni particolari: è un fiore da record!