Un amore al telefono

Illustrazione del racconto breve "Un amore al telefono"Avevo cominciato a chiamarla ogni domenica mattina. Così mi era stato detto: “devi chiamarla una volta a settimana se vuoi provare a instaurare una qualche relazione con lei”; allora io ogni domenica mattina alle 10.30 mi facevo forza e componevo quel numero a 5 cifre. Si, solo 5, perché in quegli anni il prefisso per le chiamate urbane non era ancora obbligatorio e così in 5 tempi eravamo in contatto. 5 tempi, un consueto ritornello di “cosa stavi facendo?”, “a che ora ti sei svegliata?” e molte, molte pause, quelle pause di chi proprio non sa cosa dirsi.
Eppure quel metodo doveva avere qualcosa di valido perché a un certo punto lei cominciò a “cantare per me”: cominciò a raccontarmi dei suoi gusti, dei suoi piccoli successi, di tutte le cose che si inventava per passare il tempo… e ogni volta che scoprivo di avere qualcosa in comune con lei provavo una piacevole sensazione, perché quella era la conferma del nostro legame.

E così quando inventarono i cellulari pensai che quello era il regalo perfetto. Tutti mi dicevano che forse non era il caso, che era un regalo troppo grande, che era troppo presto. Ma come avevo fatto già tante altre volte nella mia vita non ascoltai i consigli di nessuno e glielo comprai. Era un cellulare blu, un colore insolito a quei tempi e per questo mi sembrava adatto a lei. Io per me lo comprai grigio, semplice, pulito, classico.
Lei era entusiasta, come lo era per ogni novità. Scartò il regalo e rimase delusa quando le dissi che prima di poterlo accendere doveva tenerlo in carica fino al giorno dopo. No, la pazienza non era affatto il suo forte e vi confesso che anche io ero dispiaciuto di non poterla vedere nel momento dell’accensione, dei primi salvataggi in rubrica, della scelta della suoneria, e così mi accontentai di immaginarla mentre cominciava a schiacciare tutti i tasti senza aver dato neanche un solo sguardo al libretto delle istruzioni.
Bene. Il cellulare era regalato. Avevo fatto una cosa bella. L’avevo resa felice.
E mi sentivo a posto così.
E ancora non sapevo a cosa stavo andando incontro…

Un giovedì pomeriggio, intorno alle 17.00 vidi il suo nome comparire sullo schermo. Panico.
Cosa sarà mai successo per chiamarmi alle 17.00 di un giovedì pomeriggio? E’ la domenica mattina il giorno delle telefonate, è la domenica mattina il giorno in cui io le telefono, a casa, sul fisso, perché le tariffe dei cellulari sono ancora troppo alte. Il cellulare l’ho comprato per farle un regalo. Stop. Ma mentre pensavo a tutte queste cose avevo già risposto con un “dimmi, che succede?” e fu in quel momento che per la prima volta percepii tutta la sua insicurezza. “No… niente, volevo fare una prova...” Mi si strinse il cuore.

Da allora entrò con prepotenza nella mia vita. Ogni tanto passava a trovarmi in ufficio e la domenica al telefono mi liquidava subito dicendo “perché non pranziamo insieme?” e io quasi non ci credevo, alcune volte mi chiamava anche di sabato sera. Invece di uscire con i suoi amici mi diceva “Che fai? Andate a vedere la partita in pizzeria? Posso venire con voi?”. Contrariamente a tutte le paranoie di sociologi e psicologi vari, il cellulare aveva aumentato in maniera esponenziale i nostri contatti dal vivo.

Durò sei anni. Sei anni di scherzi, di viaggi, di serate in pizzeria e di complicità. Poi io cominciai a star male. La mia vita andava a rotoli mentre la sua era in salita. Non avevo voglia di farmi vedere così. Non avevo il coraggio di dirle che non potevo sostenerla. Non avevo il coraggio. Non avevo il coraggio. Cominciai a non risponderle. Proprio così, non le risposi più. Lasciavo il telefono squillare e poi lo spegnevo. Dopo un mese smise di provarci. Me la immaginavo, piccola, fragile ma con gli occhi duri e la lingua tagliente. Avevo dato a quegli occhi e a quella lingua troppo potere. Gliel’avevo dato io, quando avevo cominciato a farmi voler bene e non potevo sopportare di vedere o anche solo di sentire telefonicamente la sua delusione. Non avevo il coraggio.

Me ne andai definitivamente un paio di mesi dopo. Senza dire niente. La lasciai così, per sempre, piena di domande, di rimpianti e di rancore, di rancore verso se stessa, per essere stata troppo orgogliosa, per non aver insistito, per non avermi salvato.
Nessuno mai mi ha amato come mia figlia.
E io vorrei solo avere a disposizione ancora una breve, brevissima telefonata.

Cristina

Nokia 5110 bluScheda oggetto
Nome: Nokia 5110
Età: 13 anni
Taglia: M
Residenza: un cassetto
Segni particolari: se lo tiri contro un muro si rompe, il muro.

About Cristina

Cristina

Inserisci un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. Required fields are marked *

*

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>

Scroll To Top